Letizia Nucciotti lavora tantissimo da sempre. In vita sua ha fatto tante cose. Per 10 anni ha indossato il camice azzurro e gli stivali di gomma da veterinaria occupandosi degli allevamenti della sua terra, mucche, pecore, maiali e cavalli, ma anche in ambulatorio o a domicilio di piccoli animali da compagnia. Quando però il marito Giulio, insieme a 2 cari amici, rileva un podere, lei si toglie il camice e si infila la cuffia e il grembiule piazzandosi ai fornelli del nascente agriturismo del Cornacchino. I suoi piatti semplici e saporiti provengono dalla pratica dell’infanzia con le nonne e dai piccoli quaderni con la copertina nera in cui da sempre in famiglia si trascrivevano dosi e ricette.
Cucina con impegno e passione sempre maggiori per oltre quindici anni dedicando enormi energie e tempo nella ricerca dei prodotti di qualità e territorialità garantita, così come alla loro accurata trasformazione .
Letizia Nucciotti in questi anni scrive 2 libri in cui centinaia di ricette si mescolano ad aneddoti e memorie personali: “L’Antichef” e “Avanzi Popolo” editi da Stampa Alternativa.
A trenta e poi a trentaquattro anni diventa mamma di due bambini, oggi adulti, ai quali sono dedicate molte delle scelte e dei cambiamenti della sua vita.
Letizia, grazie per il tempo che dedichi a mamma Naturale. In questa prima epoca della tua vita non ti sei fatta davvero mancare nulla.
LN: Sicuramente a leggere questa sequenza di cose ( da cui tante sono state necessariamente omesse ) si intuisce che mi è piaciuto mettermi e rimettermi in gioco in varie e differenti vesti.
Il periodo a cui stiamo facendo riferimento in questa tua presentazione è peraltro piuttosto lungo e soprattutto è quello relativo alla fase più industriosa della vita. Sono gli anni in cui forza fisica ed entusiasmo sembrano inesauribili … o così a me è parso.
Le occasioni e le necessità mi hanno poi indotto a sperimentare ruoli e cimentarmi in piccole imprese che forse non avrei programmato ma che hanno finito sempre per appassionarmi.
Ti laurei in veterinaria, inizi la libera professione, e lavori in allevamenti di mucche da latte della tua zona, poi ti sposi e cambi lavoro ?
LN: non è facile riassumere brevemente una vita in cui gli eventi si intrecciano e sovrappongono, la sequenza comunque non è esattamente quella indicata nella tua domanda.
C’è un prima della laurea in cui studiavo e lavoravo nel bar di famiglia in cui sono cresciuta sviluppando una vera passione per le relazioni interpersonali e un piacere speciale nell’osservare le infinite caratteristiche del genere umano.
Dopo la laurea nel lontano 1984 inizio a lavorare negli allevamenti cooperativi del territorio dove già avevo fatto pratica durante gli anni di studio. Apro anche un ambulatorio per piccoli animali insieme al collega e mentore che da prima di me già lavorava nelle stalle. Anni questi che ritengo altamente formativi e fonte di conoscenze del tessuto agricolo zootecnico e della profonda e antica cultura del mondo contadino. L’ambulatorio invece mi ha consentito di scoprire il mondo di solitudini e di affetti che spesso si nasconde dietro ai piccoli animali da compagnia. Tutte opportunità per me preziose e che ritengo abbiano fortemente contribuito a definire la mia identità e la mia successiva scala di valori.
Negli anni in cui già lavoravo come veterinario ho conosciuto Giulio, il grande amore della mia vita. Istruttore e guida equestre gestiva un maneggio e organizzava viaggi a cavallo. Dopo poco ci siamo sposati.
Dopo due anni, al termine di una gravidanza felice e desiderata nasce il nostro primo figlio, Ezio.
Questo evento cambierà radicalmente il nostro sguardo sul mondo facendoci inizialmente credere che proprio il mondo ci fosse caduto addosso.
Sono comunque rientrata a lavoro dopo sei mesi dal parto e lì sono rimasta per tre anni fino al termine della seconda gravidanza, quella che ci ha regalato Bettina.
Quale è stato allora il momento e il motivo per cui lasci questo lavoro per te così importante ?
LN: Già dopo la nascita di Ezio avevo fortemente ridotto il mio impegno con l’ambulatorio, ma il pensiero di lasciare gli allevamenti lo avevo maturato nel corso della seconda gravidanza. Pensavo che sarebbe stato importante per i nostri bambini avere una presenza più attenta e continuativa di quella che avremmo potuto garantire con i nostri lavori coinvolgenti, ma privi di orari e cadenze precise. Inoltre sapevamo bene che Ezio aveva bisogno di essere seguito con attenzione, anche se in quel periodo le nubi nere dei suoi primi mesi di vita parevano essersi dissolte.
Ho deciso quindi di prendermi un anno sabbatico per dedicarmi interamente al mio ruolo di mamma.
Quell’anno sabbatico si è poi prolungato trasformandosi in una vera svolta di vita.
Quando è che con tuo marito e i vostri amici avete rilevato un podere per dare vita a quello che oggi tanti appassionati di vacanze a cavallo nella natura conoscono, ovvero il Cornacchino ?
LN: La nostra seconda figlia aveva poco più di un anno quando abbiamo acquistato, in società con due coppie di amici, una serie di ruderi di un antico insediamento minerario. Con fatica ed entusiasmo li avremmo, anno dopo anno, trasformati in quella che oggi è la nostra Azienda agrituristica del Cornacchino.
All’epoca un solo edificio era ancora agibile con 5 camere al primo piano e la grande sala-cucina realizzata nello spazio che una volta era destinato alla stalla.
Quello spazio è diventato il mio regno in cui ho costruito un ruolo e alimentato una passione che non credevo davvero potesse essere così forte.
In origine avevo scelto di occuparmi della cucina soprattutto pensando che questo ruolo mi avrebbe consentito di tenere vicino i bambini, a giocare nella sala o fuori nel prato antistante come sempre si era fatto nelle famiglie contadine.
Al Cornacchino lavori senza sosta, come hai fatto con due bambini piccoli di cui uno con speciali necessità ?
LN: In realtà l’impegno lavorativo è stato un crescendo a cui sono andata adattandomi col passare del tempo e col crescere della nostra attività. Ristrutturando acquisivamo nuovi spazi che ci consentivano di ospitare un numero via via maggiore di appassionati della vita campestre e di equitazione a cui si aggiungevano anche clienti per il solo servizio di ristorazione.
Il mio ruolo iniziato in modo così familiare era diventato un impegno sempre più a tempo pieno, appassionante e gratificante ma così faticoso come solo pochi altri mestieri sanno essere .
Mi sono alzata all’alba e andata a letto tardissimo per fare anticipazioni e finire lavori avviati in modo da avere più tempo possibile per i bambini, utilizzando energie e fantasia che a pensarle oggi mi paiono impossibili. Eppure entrambi i miei ruoli, di mamma e di cuoca mi gratificavano così tanto da rigenerare nuova energia . Sono stati comunque fondamentali i supporti, che in periodi particolarmente gravosi, mi hanno garantito i nonni e soprattutto Giulio.
E’ stato fondamentale e una conferma d’amore il fatto che per più di una stagione lui abbia rinunciato al suo ruolo di guida e istruttore per dedicarsi a piccoli lavori di manutenzione così da poter tenere con sé i bambini. Li ha così coinvolti in attività manuali e abituati alla vicinanza e al rapporto con i cavalli.
Nelle prime battute di questa chiacchierata abbiamo fatto cenno ad un capitolo molto importante nella vostra vita, ovvero sia la nascita di Ezio. Puoi raccontarci meglio?
LN : Non è facile sintetizzare un evento di questa portata in poche frasi. E’ cosa che va così oltre i fatti da diventare un punto di riferimento nel nostro percorso familiare, una riflessione a cui ho dedicato un lungo diario che è diventato il libro della mia vita.
La mia gravidanza era stata uno stato di grazia, voluta e attraversata con gioia in ogni passaggio così da farmi pensare che nessuna delle naturali ansie che normalmente accompagnano l’attesa potesse prendere forma .
Il parto invece a dispetto di tutta la nostra gioia è stato un evento devastante che ha previsto un intervento traumatico dell’ostetrica dopo 24 ore di travaglio.
A tanta fatica e dolore è seguito il momento di sollievo in cui abbiamo pensato di aver vinto la nostra battaglia, senza sapere che il vero travaglio, quello emotivo, sarebbe arrivato a breve.
In quanto tempo la gioia per la nascita di Ezio si trasforma in disperazione?
LN: In realtà l’intervallo di sollievo è stato brevissimo perché già il giorno successivo al parto ci ha convocato un pediatra che stava raccogliendo dati per una ricerca su tutti i bambini nati pretermine o reduci da un parto laborioso o cesareo.
In maniera fredda e scostante, trincerato dietro alla sua scrivania, ci ha comunicato che secondo i suoi rilievi il nostro bambino aveva subito un danno cerebrale. Ci ha altrettanto bruscamente detto che non era prevedibile l’esito del trauma e che tipo di limitazioni avrebbe potuto produrre nello sviluppo.
Insomma poche parole espresse con visibile insofferenza a qualsiasi nostra spaventata domanda, come se il passaggio inevitabile di comunicazione a noi genitori fosse una inutile perdita di tempo nel suo lavoro di “ricercatore di dati”.
Ci ha infatti rapidamente liquidati invitandoci ad uscire dal suo studio in modo frettoloso e scortese, approfittando del nostro stordimento e incapacità di reagire a tanto sconcertante notizia .
Come avete reagito e che tipo di percorso avete seguito ? Vi siete affidati a quel medico o avete cercato altri punti di riferimento ?
LN: Non è stato facile riprendere lucidità dopo un notizia come questa e soprattutto ci è voluta forza di volontà per sottrarsi al dominio psicologico del dottore che sembrava avere in mano la sorte del nostro bambino.
Diligentemente abbiamo infatti portato Ezio alla visita di controllo un mese dopo la nascita. Visita nella quale abbiamo constatato che non solo l’atteggiamento del ”camice bianco“ non era affatto cambiato, ma che soprattutto nulla sarebbe emerso di indicativo dalle sue visite se non una mera raccolta di dati per la sua ricerca . Dovete solo aspettare e vedere, aveva detto, e noi abbiamo deciso che ciò potevamo farlo senza di lui o almeno cercando altrove consulti più umani e professionali.
In questo percorso ci ha accolto e guidato il pediatra di base e soprattutto ci ha dato risposte l’Istituto Neuropsichiatrico infantile “Stella Maris “ di Calambrone.
( Pisa) a cui siamo approdati su suo consiglio e dove siamo stai accolti con grande calore e gentilezza.
Nulla è apparso di preoccupante nei controlli accurati che lì sono stati effettuati, tranquillizzandoci molto. Lo sviluppo rapido e armonico del nostro bambino andava confermando questi rilievi medici. L’incubo sembrava davvero risolto.
In questa gioia ritrovata abbiamo così deciso di avere un secondo figlio.
Due giorni dopo il terzo compleanno di Ezio è nata sua sorella .
Come viene accolta la sorellina?
LN : Come spesso succede ai primogeniti, quando devono imparare a spartire spazi ed attenzioni con un nuovo arrivato, sono camparsi dei piccoli segni involutivi nella sua autonomia, ma soprattutto la sua reazione è stata di progressivo e lento allontanamento e chiusura. Come se non avesse scelto di entrare in competizione ma piuttosto uscire dal gioco.
Le ripetitività di gesti e domande che per tutti i bambini sono conoscitive e rassicuranti nell’esplorare il mondo che li circonda, si sono trasformate per lui in forme quasi ossessive ed anestetiche. Rituali continui da cui tutti e sempre di più erano tagliati fuori .
La cosa si è fatta più evidente perché proprio in quel periodo Ezio entrava alla scuola materna aprendo l’inevitabile confronto con gli altri bambini .
Che cosa cambia dopo la chiacchierata con la maestra di Ezio.
LN: le chiacchierate e i confronti con la maestra sono state tante prima di quella, in qualche modo risolutiva, a cui nel libro dedico un interero capitolo. Le difficoltà di Ezio si stavano infatti rendendo evidenti soprattutto in ambiente scolastico e con delicatezza ci venivano segnalate dalle insegnanti. Non era facile per noi accettare la realtà, come quasi sempre accade ai genitori di fronte a situazioni di questo tipo. Ci si racconta in modo inutilmente consolatorio che si tratta solo di un periodo particolare della crescita, di una forma di timidezza, della gelosia per l’ingombrante sorellina.
Amici e parenti per tranquillizzarti ti fanno poi mille esempi a corroborare queste tesi a cui vuoi attaccarti.
Di fronte a tale atteggiamento la maestra, che ancora ringrazio, mi ha elencato senza edulcorare la realtà, tutti i comportamenti di Ezio che segnalavano una importante sofferenza emotiva e relazionale.
Mi sono dovuta assolutamente svegliare e prendere atto dei fatti.
Alla fine ti espone un problema, ma si pone in maniera totalmente diversa dal primo medico ?
LN: Diverse non erano tanto le parole, che comunque erano duramente realistiche, quanto l’emozione e la sofferta partecipazione che io potevo sentire. Al medico che alla fine noi chiamavamo “l’idraulico” per sminuirlo del carisma che voleva immeritatamente attribuirsi, non importava nulla di noi e del nostro sentire. Il nostro bellissimo bimbo era per lui solo materiale di ricerca, un numero da aggiungere alla statistica.
A Paola invece importava di noi e voleva aiutarci ad affrontare il nostro problema, aprirci gli occhi su una realtà che doveva essere affrontata e lo ha fatto a costo di apparire irruenta, a costo di creare un possibile conflitto.
Non è stato facile e indolore ascoltare le sue parole che sono state però un passaggio fondamentale per il raggiungimento di una consapevolezza che ha aperto un vero, nuovo capitolo della nostra storia.
Quanto è importante saper dire bene le cose?
LN: Il tono e l’atteggiamento sono importantissimi in generale nella comunicazione tra persone, soprattutto quando il concetto che si intende condividere è come in questo caso di vitale importanza.
Vero è comunque che non si tratta di capacità recitative, ma di profonda e umana empatia, di sentimento e attenzione che soprattutto in ruoli così delicati come quello del medico e dell’insegnate dovrebbero sempre accompagnare le competenze tecniche.
Cosa invece così rara da suscitare quasi stupore quando possiamo rilevarla.
Nel tempo che ruolo assume la sorella nella vita di Ezio e che tipo di rapporto si stabilisce tra loro ?
LN: Il ruolo dei fratelli è molto importante e mai facile per entrambi anche se molto spesso il ruolo più impegnativo diventa quello del figlio “normodotato” a cui si rischia di chiedere consapevolezza e responsabilità sproporzionata alla sua età e ai suoi bisogni di bambino.
Nel nostro caso direi che passato il primo periodo di difficoltà, che noi attribuivamo alla gelosia ( mentre il disagio di Ezio era assai più articolato e complesso ), il rapporto tra loro mostrava molti aspetti positivi ed era uno dei pochi che richiamava Ezio alla partecipazione. La piccola vedeva in lui il fratello grande che sapeva fare cose per lei interessanti e ancora non alla sua portata, sia nei giochi fisici che nella gestione funzionale di musicassette e videoregistratore. Il trauma e stato l’ingresso di lei nella scuola già frequentata da Ezio, quando altri bambini, con la brutalità che solo loro possono avere, l’hanno derisa e “informata” sul comportamento da “scemo” di suo fratello.
Aveva solo tre anni Bettina e questo per lei è stato un vero trauma.
Nel dedicarci con infinita attenzione nel seguire ed interpretare i bisogni di Ezio abbiamo allora più che mai capito che non dovevamo in ogni scelta dimenticare i bisogni e le attenzioni di cui necessitava la nostra solare bambina.
Hai parlato di derisione da parte dei compagni di scuola nei confronti di tua figlia, come si comportavano con Ezio ?
LN : Era uno degli aspetti più dolorosi e che inevitabilmente doveva aprirci gli occhi perché era sempre più evidente che soprattutto la socializzazione era il grande problema di nostro figlio. Lui sembrava costruirsi e vivere sempre di più in un mondo parallelo. Aveva paura a staccarsi dalle sue piccole e ripetitive certezze ed era spaventato dalla cosa più imprevedibile del mondo e cioè il comportamento delle altre persone.
Inizialmente i coetanei non ottenendo risposte da lui si limitavano ad ignorarlo. Solo da più grandicello qualcuno ha cominciato a farlo oggetto di derisione per apparire forte e furbo di fronte agli altri bambini. Per Ezio è stato davvero devastante perché non essendo capace a reagire o a riferire ad altri, la sua sofferenza l’ha tenuta tutta dentro. Di alcuni dolorosi avvenimenti siamo venuti a conoscenza a distanza di anni.
Uno dei momenti più intensi e dolorosi della sua primissima infanzia è stato per me il giorno in cui è riuscito a dirmi, rompendo per un attimo il bozzolo in cui si era rinchiuso, quanto si sentisse diverso dagli altri e non sapesse come fare. Me lo ha detto vestito da carnevale, tra le lacrime disperate , straziandomi il cuore.
E tu come reagisci?
LN: nella reazione a cui fai riferimento c’è tutta la storia della nostra vita . Forse da quella reazione è iniziata la conquista della nostra consapevolezza di oggi e l’equilibrio sereno di nostro figlio.
Non è stato uno scatto immediato e una svolta inaspettata …. Queste cose si vedono solo nei film, i passaggi della vita vera sono frutto di piccoli e faticosi passi, di inevitabili ricadute.
Ciò che penso abbia segnato il vero cambiamento nel nostro approccio è stato il comprendere che non potevamo trasformare nostro figlio piegandolo allo standard di una normalità che non solo è varia e discutibile, ma che soprattutto non gli apparteneva .
Abbiamo iniziato a provare ad entrare noi nel suo mondo cercando di sentire come lui sentiva . Man mano abbiamo stimolato, senza assillo, tutte le sue potenzialità che abbiamo scoperto vastissime.
Siamo riusciti a renderlo orgoglioso della sua diversità nel momento in cui abbiamo compreso noi questo enorme valore.
Lo ripeti spesso: tu cambi. Non sei più una mamma con il cervello, ma il tuo baricentro si sposta e il cuore diventa padrone.
LN: Non è propriamente così, in realtà il mio cervello e il mio cuore non hanno mai smesso di collaborare , hanno dovuto semplicemente trovare un linguaggio condiviso e un equilibrio costruttivo.
La razionalità è indispensabile per affrontare la realtà dei fatti, ma da sola è insufficiente ad interpretarli, il solo sentimento al contrario può travolgerti e forse accecarti.
La vera conquista è stato per noi stabilire un chiaro codice che consentisse di comprendere i limiti di nostro figlio, di accettarli razionalmente per arrivare a non averne timore o vergogna. Per dire questo ho parlato a volte di passaggio dal cervello al cuore, ma in realtà avrei potuto dire alla gola o allo stomaco, organi meno nobili, ma che nelle prime fasi di reale presa di consapevolezza paiono davvero stringersi fisicamente.
Quando invece anche le apparenti stranezze non ti feriscono più, ma piuttosto ne impari a comprendere il valore o la tenerezza, puoi affermare di aver trovato il baricentro della tua vita.
Questo cambiamento ti ha portato ad essere una mamma migliore?
LN: Spero di si anche se, essere mamma è il mestiere più impegnativo del mondo, non esistono libretti d’istruzione .
Sicuramente ho fatto del bene a me stessa e ho creato uno stato di serenità virtuosa che è giovato a tutta la famiglia .
Abbiamo ridotto il grande sforzo formativo e di stimolo con cui volevamo “recuperare le mancanze Ezio” finendo per assillarlo inutilmente . Abbiamo così ritrovato tempo ed energie per volerci bene. Questo atteggiamento ha lasciato lui libero di essere se stesso tirando fuori inaspettatamente abilità e desideri inespressi . A noi ha regalato la conferma che l’amore e la gioia non stanno in una inesistente perfezione quanto nella capacità di cogliere il valore di piccoli gesti quotidiani .
La perfezione è in realtà l’impegno a fare al meglio ciò che è alla nostra portata.
Non perfetta, però. Quando scrivi la tua autobiografia nel libro “Io Ci Sarò”, la sottotitoli: la storia felice di una famiglia imperfetta.
LN: Con precisione il sottotitolo è “Storia di una famiglia felicemente imperfetta” e volevo precisarlo perché la sequenza di queste parole non è una finezza grammaticale quanto una precisa scelta di senso e valore .
La consapevolezza di questa imperfezione è infatti il nodo centrale che ha motivato il mio libro, la conquista vera che sentiamo di aver compiuto e che ho provato a spiegare nella precedente risposta alla tua domanda.
Quel felicemente indica uno stato e lo rivendica orgogliosamente perché non vede l’imperfezione solo come un limite o una mancanza.
L’idea della perfezione è quasi sempre un bluff, una falsa immagine da mostrare al mondo per nascondere fragilità che invece ci fanno belli e unici.
La falsa idea della perfezione anziché uno stimolo a migliorarsi si può trasformare in un modello distruttivo come quello inseguito da molte adolescenti davanti a immagini costruite e innaturali di cantati o modelle .
La nostra felicità di famiglia e di persone è cosa da riconquistare ogni giorno e comprende la reciproca consapevolezza dei nostri umani difetti. Limiti che nulla tolgono al nostro valore e al nostro amore reciproco.
Una accettazione che non esclude lo slancio e alla voglia di migliorarsi e di mettersi in gioco, di porsi obiettivi anche ambiziosi.
Il nostro continuo rimetterci in gioco anche professionale ne è la testimonianza pratica.
Qui trovate il libro
Come madre, non credi di esserti dedicata di più a Ezio ? al figlio cioè che aveva più bisogno come dice Domenico Soriano in Matrimonio all’italiana . Conosci vero il film di De Sica ?
LN: ho riguardato dopo la tua indicazione la scena di quel film, che già conoscevo, in cui però non posso riconoscere tratti della nostra storia. Lì vince la determinazione di una madre a garantire il futuro di tutti i figli a dispetto di un padre inconsapevole ed assente.
Noi al contrario abbiamo vissuto insieme ogni passaggio della nostra storia di genitori.
Sicuramente per Ezio abbiamo investito tante attenzioni ed energie, ma io e Giulio per fortuna lo abbiamo sempre fatto in stretta collaborazione, confrontandoci per correggere i reciproci errori e confortandoci nei momenti di cedimento o sconforto.
Abbiamo anche rapidamente capito che la nostra dedizione ai bisogni di Ezio non doveva in nessun modo sottrarre le attenzioni e gli slanci che le erano necessari e dovuti a sua sorella.
Ti ricordi cosa gli risponde Sophia Loren?
LN: Sono d’accordo, la madre deve aiutare il più debole, cercare strumenti adatti a sfruttare tutte sue potenzialità ricercando ogni possibile garanzia di sviluppo e futuro.
Sicuramente questo però non può essere fatto a prezzo del sacrificio di fratelli e sorelle che già devono ammortizzare la loro quota di accettazione e disagio. Fratelli che si trovano , senza averlo scelto, un presente più impegnativo e responsabile dei propri coetanei oltre ad un potenziale impegno di responsabilità nel loro futuro.
In questo ha ragione la protagonista del film che non rivela chi sia dei tre il figlio del ricco padre perché per lei sono tutti ugualmente amati e meritevoli di attenzioni.
Una mamma deve cercare di aiutare il più debole. https://www.youtube.com/watch?v=W1glr392HYQ
E per aiutare il più debole, forse anche con il bagaglio di tutte le battaglie che hai combattuto per Ezio crei Pollyanna, una onlus che si dedica alle persone diversamente abili con programmi di integrazione e formazione.
LN: L’idea di costituire una Associazione di familiari, accomunati da problematiche legate alla disabilità di un loro congiunto, era cosa che desideravo già da quando Ezio aveva cominciato il suo percorso scolastico .
Pensavo che sarebbe stato utile condividere strategie ed esperienze, ma anche raccontare di se con il sollievo di non dover spiegare a parole i sentimenti che accompagnano questa esperienza di vita. Pensavo anche che così avremmo potuto acquisire una maggiore visibilità e peso sociale, segnalare bisogni e costruire soluzioni possibili.
Ho scoperto allora che non è cosa facile. Molte famiglie sono condizionate dall’imbarazzo, dalla mancanza di accettazione, dall’idea che si debba occupare lo stato e la sanità del loro problema, oppure sono arrese e rassegnate.
Le più abbienti pensano di poter fare da sole e non hanno di solito piacere ad esporsi, chi ha scarse risorse e cultura tende per opposti motivi ad essere invisibile.
Sei anni fa in una situazione del tutto inattesa, nel corso di un convegno dedicato ai problemi di dislessia e legato al tentativo di creare un doposcuola mirato, mi sono trovata con familiari che come me cercavano altri tipi di risposte. Ne è nata, grazie anche alla presenza di una brava mediatrice familiare, l’idea di formare un gruppo di confronto.
Così, quasi per caso, abbiamo dato vita a questa piccola realtà che ad oggi ci ha regalato tante soddisfazioni a fronte di un crescente impegno .
L’impegno stesso e la collaborazione che prevede, sono già un servizio nel servizio che l’associazione offre ai propri soci, perché lo stare insieme con comuni obiettivi è già terapeutico.
Tra le nostre attività, gruppi di auto aiuto per familiari, laboratori pomeridiani per i ragazzi, gestione di una casa condivisa per esercitare crescenti autonomi e favorire il distacco dalla famiglia, collaborazione con scuole e altre attività associative del territorio, organizzazione di venti a scopo divulgativo e di socializzazione, piccole pubblicazioni, collaborazione con altre associazioni di genitori.
Purtroppo la quarantena del Covid19 ha paralizzato al momento tutte le nostre attività legate proprio all’incontro e allo scambio relazionale. Questo sta creando notevole disagio a numerosi dei nostri ragazzi e alle loro famiglie e ci da la misura di quanto fosse diventata importante la nostra piccola attività .
A fronte di tue articolate motivazioni decidi di lasciare la cucina del Cornacchino, da quel momento tuo marito i tuoi figli e l’associazione Pollyanna hanno tutta la tua attenzione ?
LN: In realtà ho ridotto il mio lavoro al Cornacchino in tempi precedenti a quelli della nascita della Pollyanna Onlus e come ogni altra scelta della vita è stata dettata dalla priorità di dedicarmi in modo attento alla mia famiglia e a differenti interessi.
In questo caso ho visto la piena adolescenza dei nostri figli e la vecchiaia incipiente dei miei genitori pensando che entrambe queste stagioni meritassero amorevole cura. Col senno del poi confermo che è stato bello ed importante non perdere momenti che avrei rimpianto di non aver vissuto o di non aver collaborato a rendere formativi o teneramente nostalgici. Penso che il rapporto di fiducia e collaborazione che oggi ho con i miei figli, in quel periodo, abbia consolidato le radici gettate nell’infanzia creando il presupposto per una nuova stima e confidenza.
Potete trovare la Pollyanna Onlus anche su Facebook.
Quanto tempo rimane per te.
LN: Quando già avevo deciso di lasciare un lavoro a tempo strapieno come quello della cucina, ho avuto quasi paura dello spazio che in modo così netto mi sarei trovata a disposizione. E’ stato però un pensiero assolutamente temporaneo e più legato ai miei timori che alla realtà dei fatti, perché tutto poi è venuto in modo molto naturale.
Potevo finalmente leggere e scrivere senza rubare il tempo al sonno, chiacchierare con i miei ragazzi e miei genitori senza interrompere a metà i discorsi, andare a trovare un’amica e curare l’orto dietro casa, uscire con Giulio a cena e partecipare a eventi culturali che mi destassero interesse.
E poi ho tenuto corsi di cucina e fatto tante presentazioni dei miei libri in modo originale, divertente o emozionante, infine mi sono tuffata nello slancio costruttivo della nostra associazione.
Fare quello che mi piace e mi coinvolge da sempre è “tempo per me” perché mi fa sentire viva e partecipe. Quindi a pensarci anche tutti gli anni sudati ai fornelli sono stati tutti “tempo per me” così come lo sono state le sere a leggere le favole o a rincorrere le lucciole o ad ascoltare i racconti divertenti del mio babbo che oggi non c’è più. E il mio star bene penso abbia coinvolto le persone che ho amato e che con me hanno condiviso il percorso di vita.
Nel film la Morte di Fa Bella, Bruce Willis dichiarava che la vita comincia a 50 anni, Tu a 50 anni hai iniziato un nuovo, forse il più bello capitolo della sua vita: figli grandi, Ezio Lavora, Betta inizia il suo percorso universitario, il Cornacchino cresce e crescerà ancora, Pollyanna è un punto di riferimento per la tua comunità. Quale tuo sogno vuoi tirar fuori dal cassetto?
LN: In effetti a 50nt’anni ho fatto la svolta radicale a cui accennavamo poc’anzi, ovvero sia quella di lasciare la cucina del Cornacchino aprendo un nuovo e importante tracciato. Da allora sono già passati più di 11 anni e posso quindi elaborare un giudizio su questo nuovo capitolo.
Non ritengo che la mia vita sia cominciata proprio allora, ma penso che sicuramente questi anni della piena maturità meritassero di essere vissuti ad un diverso ritmo e con un più calibrato investimento fisico, dedicando attenzione ai dettagli che nelle stagioni del frenetico impegno spesso ero costretta a trascurare.
Non potrei fare paragoni tra le varie stagioni della mia vita e stabilire quale sia stata la più bella . Sfogliando il mio album mentale trovo che ogni periodo sia stato ricco e pieno tanto da potermi ritenere davvero una donna fortunata.
Fortunata per le opportunità che la vita mi ha offerto, ma anche per il coraggio e la temerarietà che ho avuto nel coglierle.
In questo continuo divenire non mi sento ad un punto di arrivo, ma continuo ad impegnarmi in tante piccole cose senza serbare sogni nel cassetto. Piuttosto cerco di mettermi in gioco ogni giorno contribuendo dove posso ad iniziative sociali di vario tipo e sperando di costituire ancora un punto di riferimento per i nostri figli, oggi adulti. A loro cerco di lasciare, senza interferire, sogni e progetti, ognuno dei due in misura delle proprie forze e possibilità.
Il mio sogno in larga misura i miei figli lo hanno comunque già realizzato. Ezio come dicevi lavora, ormai da oltre 10 anni in un negozio Coop e non potrebbe esistere per lui situazione più adatta. Lì mette in gioco la sua energia e la sua grande precisione. Soprattutto però è parte di gruppo di persone che lo fanno sentire utile ed importante così come i clienti abituali che conosco bene lui, la sua gentilezza e il suo sorriso.
Bettina si è appena laureata in medicina con ottimi risultati e so che in questo mestiere metterà il suo impegno, la sua preparazione e sicuramente il suo cuore.
Cosa vuoi dire a quelle mamme che hanno un bimbo o una bimba speciale.
LN: Non è facile sintetizzare in poche frasi ciò che ho cercato di racchiudere nel diario di una intera vita, ma proverò a fissare alcuni punti per me nodali.
Vorrei dire loro di non pensare di essere le uniche a cui succede questo, di non pensare di essere state punite dal caso e di non provare imbarazzo o cedere alla tentazione del nascondimento. Di non dimenticare di essere donne e di non mortificare la propria femminilità, di non smettere di coltivare il proprio rapporto di coppia. Di dedicare a questi figli speciali cura e attenzioni, ma di non immolarsi dimenticando completamente se stesse e i propri piccoli desideri. Solo accumulando energie positive si possono poi investire per vivere meglio e destinarle anche a chi amiamo.
Di non trascurare il bisogno di pari attenzioni da parte di altri figli, di ritagliare per loro momenti di tenerezze esclusive.
Di fare rete perché condividere esperienze e sentimenti è motivo di consolazione e fonte di insperata energia.
Grazie Letizia. Grazie di cuore.
GW