Diventare madre o padre, è l’esperienza più fantastica e sbalorditiva che ogni singolo soggetto può vivere durante la propria vita. Una gioia, però, che dev’essere accompagnata, poi, dalla consapevolezza ed importanza che il ruolo ricopre, cercando di essere un buon genitore su tutto quanto riguarda la crescita dei propri figli, cercando di effettuare scelte che siano realmente funzionali al benessere di quanto di più caro abbiamo al mondo. A tal proposito puoi consultare il sito Genitore Informato, un punto di riferimento per tante mamme e tanti papà in giro per l’Italia.
Ogni fase della crescita, per quanto ovvio, riserva ostacoli da superare, in cui dubbi ed incertezze, non di rado, si palesano nel subconscio del genitore, alla ricerca di opzioni che possono coincidere con la risoluzione della problematica senza incidere in alcun modo sullo sviluppo armonioso del proprio pargolo.
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I “terribili due”: un periodo che mette a dura prova qualsiasi genitore
Superate le difficoltà iniziali, dove il bimbo si sveglia improvvisamente di notte o piange perché non è ancora in grado di comunicare in altro modo con i propri genitori, un momento particolarmente delicato nello sviluppo del bambino, e del rapporto dello stesso con mamma e papà, è certamente quello dei due anni, definiti, da alcuni studi medici, i “terribili due”. La soglia dei ventiquattro mesi, per quanto ovvio, è puramente indicativa.
Alcuni bambini, infatti, manifestano alcune problematiche già attorno ai 18 mesi, altri, invece, qualche mese dopo aver compiuto i due anni d’età. Di certo, quando ci sono i primi sintomi di questo problema, i genitori iniziano ad aver a che fare con le prime forti lamentele del proprio figlio, che si trasformano, nella maggior parte dei casi, in pianti o urla tutt’altro che semplici da poter gestire per i genitori.
In questo periodo, il bambino manifesta forte irrequietezza ed improvvisi sbalzi d’umore che, non di rado, colgono impreparato il genitore, che “colto in fallo” non riesce a districarsi adeguatamente nella risoluzione del problema, in molti casi proprio per il forte nervosismo manifestato dal proprio figlio.
Le reazioni, in questi casi, sono le più disparate: da chi infligge qualche castigo a chi si arrabbia rispondendo con tono di voce piuttosto spiccato alle urla del bambino. Purtroppo, ogni persona reagisce a suo modo, talvolta anche a causa di un po’ di esasperazione per la situazione che si protrae per un lungo periodo. E non è semplice, in quel preciso momento, trovare la chiave di volta risolutiva.
Terribili due: i segnali da non sottovalutare
Ogni genitore consapevole, tuttavia, deve tenere a mente un aspetto fondamentale. Questi comportamenti del bambino, che in alcuni casi sfociano anche in gesti come calci o morsi, non sono messi in atto per fare del male al genitore. Sono solo dei tentativi di auto-indipendenza che il bambino, in una sorta di lotta con sé stesso, sta cercando di ottenere, ma percepisce di non aver ancora gli strumenti per traslare all’atto pratico tutto ciò.
D’altro canto, tra i due e i tre anni i bambini apprendono molto, cercando di acquisire più conoscenze possibili e mettersi alla prova con loro stessi per testare, appunto, il loro grado di indipendenza, quanto, in molti casi, siano “forti” ed in grado di procedere autonomamente allo svolgimento di azioni di “routine” solo per il mondo adulto.
Situazioni che sembrano impossibili da dover affrontare per molti genitori, che una volta passato questo “momento”, invece, rideranno nel ricordare quanto accadeva in quella specifica fase della crescita del bambino. Esistono, tuttavia, alcuni campanelli da non sottovalutare, che possono rappresentare dei piccoli “alert” da non sottovalutare e dal quale parlare anche col proprio pediatra.
Se i gesti di ribellione sono accompagnati anche da altri violenti verso sé stessi e gli altri, bisogna analizzare meglio lo stato d’animo del bambino e porre in atto quelle azioni correttive necessarie. Lo stesso dicasi, ad esempio, se il bambino si chiude in sé stesso e non cerca alcun tipo di interazione con i genitori, piuttosto che il fatto di distogliere lo sguardo, anche su richieste espressa, nella comunicazione con i propri genitori.
Genitori: come affrontare i terribili due?
Diventare madre o padre, è l’esperienza più fantastica e sbalorditiva che ogni singolo soggetto può vivere durante la propria vita. Una gioia, però, che dev’essere accompagnata, poi, dalla consapevolezza ed importanza che il ruolo ricopre, cercando di essere un buon genitore su tutto quanto riguarda la crescita dei propri figli, cercando di effettuare scelte che siano realmente funzionali al benessere di quanto di più caro abbiamo al mondo. A tal proposito puoi consultare il sito Genitore Informato, un punto di riferimento per tante mamme e tanti papà in giro per l’Italia.
Ogni fase della crescita, per quanto ovvio, riserva ostacoli da superare, in cui dubbi ed incertezze, non di rado, si palesano nel subconscio del genitore, alla ricerca di opzioni che possono coincidere con la risoluzione della problematica senza incidere in alcun modo sullo sviluppo armonioso del proprio pargolo.
I “terribili due”: un periodo che mette a dura prova qualsiasi genitore
Superate le difficoltà iniziali, dove il bimbo si sveglia improvvisamente di notte o piange perché non è ancora in grado di comunicare in altro modo con i propri genitori, un momento particolarmente delicato nello sviluppo del bambino, e del rapporto dello stesso con mamma e papà, è certamente quello dei due anni, definiti, da alcuni studi medici, i “terribili due”. La soglia dei ventiquattro mesi, per quanto ovvio, è puramente indicativa.
Alcuni bambini, infatti, manifestano alcune problematiche già attorno ai 18 mesi, altri, invece, qualche mese dopo aver compiuto i due anni d’età. Di certo, quando ci sono i primi sintomi di questo problema, i genitori iniziano ad aver a che fare con le prime forti lamentele del proprio figlio, che si trasformano, nella maggior parte dei casi, in pianti o urla tutt’altro che semplici da poter gestire per i genitori.
In questo periodo, il bambino manifesta forte irrequietezza ed improvvisi sbalzi d’umore che, non di rado, colgono impreparato il genitore, che “colto in fallo” non riesce a districarsi adeguatamente nella risoluzione del problema, in molti casi proprio per il forte nervosismo manifestato dal proprio figlio.
Le reazioni, in questi casi, sono le più disparate: da chi infligge qualche castigo a chi si arrabbia rispondendo con tono di voce piuttosto spiccato alle urla del bambino. Purtroppo, ogni persona reagisce a suo modo, talvolta anche a causa di un po’ di esasperazione per la situazione che si protrae per un lungo periodo. E non è semplice, in quel preciso momento, trovare la chiave di volta risolutiva.
I segnali da non sottovalutare
Ogni genitore consapevole, tuttavia, deve tenere a mente un aspetto fondamentale. Questi comportamenti del bambino, che in alcuni casi sfociano anche in gesti come calci o morsi, non sono messi in atto per fare del male al genitore. Sono solo dei tentativi di auto-indipendenza che il bambino, in una sorta di lotta con sé stesso, sta cercando di ottenere, ma percepisce di non aver ancora gli strumenti per traslare all’atto pratico tutto ciò.
D’altro canto, tra i due e i tre anni i bambini apprendono molto, cercando di acquisire più conoscenze possibili e mettersi alla prova con loro stessi per testare, appunto, il loro grado di indipendenza, quanto, in molti casi, siano “forti” ed in grado di procedere autonomamente allo svolgimento di azioni di “routine” solo per il mondo adulto.
Situazioni che sembrano impossibili da dover affrontare per molti genitori, che una volta passato questo “momento”, invece, rideranno nel ricordare quanto accadeva in quella specifica fase della crescita del bambino. Esistono, tuttavia, alcuni campanelli da non sottovalutare, che possono rappresentare dei piccoli “alert” da non sottovalutare e dal quale parlare anche col proprio pediatra.
Se i gesti di ribellione sono accompagnati anche da altri violenti verso sé stessi e gli altri, bisogna analizzare meglio lo stato d’animo del bambino e porre in atto quelle azioni correttive necessarie. Lo stesso dicasi, ad esempio, se il bambino si chiude in sé stesso e non cerca alcun tipo di interazione con i genitori, piuttosto che il fatto di distogliere lo sguardo, anche su richieste espressa, nella comunicazione con i propri genitori.