Il pianto è la prima forma di linguaggio del bambino : è il primo modello di comunicazione con l’ambiente circostante. Egli scopre fin dalla nascita che l’emissione violenta e convulsa di suoni e grida provoca dei cambiamenti intorno a lui, cambiamenti di segno positivo. La scoperta dell’utilità del pianto è casuale.
Quasi tutti i bambini emettono degli “strilli” appena nati, in quanto i loro polmoni, nel passaggio dall’ambiente uterino (dove il neonato era immerso nel liquido amniotico) all’esterno, si riempiono improvvisamente di aria e tutti i muscoli respiratori, dal diaframma agli intercostali, entrano rapidamente in azione. Alla rapida inspirazione di aria segue una serie di altrettanto confusi atti respiratori che impegnano anche le corde vocali. Da qui le prime grida, che vengono interpretate dai genitori come pianto. E’ una interpretazione sbagliata, ma che al neonato è di estrema utilità, perché, con l’emissione di questo suono, si accorge che qualcuno si prende cura di lui.
La scoperta più significativa che il neonato fa è quando, preso dai crampi gastrici causati dalla fame, si accorge che con l’emissione delle grida, la sua bocca viene otturata da un dolce tappo (il seno materno o il biberon) che non solo gli fa scomparire in pochi minuti i crampi, ma gli da una sensazione piacevole alle labbra. Da questo momento in poi il bambino userà il pianto tutte le volte che avvertirà sensazioni di disagio fisico, nell’attesa che la sua sofferenza si trasformi in una piacevole sensazione di soddisfazione.
Nei primi giorni di vita il bambino ha ancora la percezione che intorno a lui vi siano altre persone : è convinto che il pianto sia uno strumento magico che trasforma il disagio o il dolore in una soddisfazione o senso di piacere. Solo in seguito si accorgerà che il pianto è una magia fino a un certo punto.
Il pianto del bambino: alcuni approfondimenti
Gli studi fatti su bambini abbandonati subito dopo la nascita hanno dimostrato che il neonato non utilizza più il pianto, già dopo alcuni giorni dall’abbandono. Anche i bambini trattenuti in brefotrofio sin dalla nascita piangono poco o niente. E non a caso questi bambini presenteranno, più tardi, gravi ritardi nello sviluppo del linguaggio, proprio perché il pianto è la prima forma di linguaggio verbale.
Anche il bambino allevato in famiglia scoprirà che il pianto non è uno strumento magico, ma un segnale che serve a richiamare l’attenzione altrui, più che esorcizzare il disagio. A tal fine imparerà a modulare con tonalità diverse il pianto, a seconda di ciò di cui ha bisogno. Non esiste un codice comune a tutti i bambini per i diversi tipi di pianto. Esistono il pianto da:
- fame,
- sete,
- dolore fisico,
- difficoltà ad addormentarsi,
- paura,
- disagio fisico generalizzato.
Si può dire che ogni bambino imparerà una propria tecnica nel diversificare il pianto, a seconda del successo che riesce ad ottenere con i suoi segnali. E ciascuna mamma imparerà presto ad interpretare nel modo giusto il pianto del proprio figlio. Questa costituisce la seconda importante tappa nello sviluppo del linguaggio del bambino. Più un genitore risponde con tempestività e precisione al pianto-messaggio del bambino, più questi svilupperà mentalmente i concetti fondamentali della comunicazione. A tale fine sono importanti soprattutto i primi sei mesi di vita : questo è il periodo in cui il bambino pone le fondamenta dello sviluppo del linguaggio verbale.
Col pianto dunque il bambino ci parla; quindi bisogna rispondergli a tono e immediatamente, se lo si vuole aiutare a crescere bene mentalmente. Lasciarlo piangere senza cercare d’interpretarne il bisogno o, peggio, lasciarlo piangere senza rispondergli, perché disimpari a piangere, è un rischio per il suo sviluppo mentale. Col passare degli anni il pianto perderà sempre più il suo carattere di messaggio-verbale, in quanto il bambino svilupperà, nel frattempo, il linguaggio vero e proprio.
Da mamma ritengo utile prestazione attenzione al pianto del proprio bambino e non approvo chi lascia piangere in continuazione i propri figli seguendo le teorie del “prima o poi smette” sono solo capricci.