La maschera di Gianduja è una delle più celebri maschere del Carnevale Veneziano, ma non è di origini venete bensì piemontesi. Galantuomo allegro e di buon senso, amante dei piaceri del vino e della buona tavola, Gianduja è il re di Torino nel periodo di Carnevale. Vestito in abiti settecenteschi si mostra sempre in carrozza accanto alla sua bella Giacometta. Ma qual è la vera storia di questa maschera? Perché si chiama Gianduja? Per scoprire la risposta a questa e altre domande, non vi resta che continuare la lettura di questo articolo.
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Il significato della maschera di Gianduja
Come tante altre maschere del Carnevale veneziano, anche quella di Gianduja vuole rappresentare i connotati e le caratteristiche fisiche e comportamentali di un certo tipo umano, ovvero quello del piemontese dell’epoca in cui la maschera è nata. Gianduja infatti è l’incarnazione perfetta del piemontese bonario, socievole, generoso ed ospitale, amante del buon cibo e dispensatore di sorrisi e buonumore ai commensali. Tuttavia è un tipo molto, ma molto distratto. Secondo la leggenda popolare, un giorno per ore ed ore Gianduja cercò disperatamente il suo asino, non rendendosi conto che ci era seduto sopra.
Il costume di Gianduja
Gianduja indossa gli abiti tipici piemontesi dell’epoca in cui è nata la maschera ovvero il ‘700: panciotto, calze rosso fuoco acceso e pantaloni di fustagno. Sul capo reca sempre il tricorno con coccarda tricolore e in mano ha sempre la doja, ovvero il boccale di vino dell’epoca. Gianduja non compare mai solo: al suo fianco c’è sempre l’amata Giacometta che è la rappresentazione tipica delle donne piemontesi del ‘700. Dolce ma risoluta, pragmatica e coraggiosa, saggia e tenace, Giacometta aiuta Gianduja a risolvere i problemi della vita. Indossa una gonna lunga e molto larga, uno scialle tipico su una camicetta e un vistoso copricapo.
Qual è la storia di Gianduja?
La storia di Gianduja risale al 1808 ed è legata al nome di due burattinai: Giovanni Battista Sales e Gioacchino Bellone. La concorrenza all’epoca era spietata e la condanna era sempre dietro l’angolo. A Genova i due burattinai mettono in scena le vicende e le disavventure di Gironi, un contadino dalla lingua lunga e amante del buon vino. E’ subito un grande successo di pubblico. Peccato però che i riferimenti al nome e ai fatti del doge Girolamo Durazzo sono troppi e i due vengono arrestati. Cambiano città e cambiano nome al personaggio: questa volta in scena è Gerolamo. Peccato però sia il nome del fratello di Napoleone Bonaparte.
I due burattinai vengono condannati a morte e incarcerati. Evadono e fuggono ad Asti dove si rifugiano a Callianetto del Monferrato. Qui danno vita ad un nuovo personaggio di nome Gianduja che rispecchia fedelmente le caratteristiche dei piemontesi d’epoca. Non a caso viene subito amato dal pubblico e i due burattinai hanno finalmente la loro rivalsa. Il nuovo nome Gianduja deriva dalla caratteristica di avere sempre con sè la dôja, un boccale di terracotta per bere il vino. Il soprannome “Giôan d’la dôja” fu poi condensato in Gianduja.